«C’est en vous souhaitant, mon chérissime ainsi qu’à votre très aimable Compagnie la meilleure cure du monde!»
Auguro a voi, mio carissimo, così come alla vostra amabile compagnia, la migliore cura del mondo (da intendere: il migliore soggiorno di cura del mondo).
Questo il saluto spedito nel 1797 da Peter Conradin von Planta da Zuoz insieme a un cestino di biscotti al cognato Johan Baptista von Tscharner che con la moglie si trovava a Bad Alvaneu.
Nella corrispondenza di Tscharner sono conservate molte lettere che permettono di farsi un’idea diretta delle usanze di una famiglia aristocratica di Coira durante i soggiorni di cura.
Sulla base delle annotazioni, del diario e dei resoconti degli ospiti di località di cura come Fideris, Fläsch, Alvaneu, San Bernardino e degli stabilimenti termali engadinesi, il libro spiega l’evoluzione di abitudini e terapie fra il XVI e il XIX secolo.
All’inizio del XIX secolo, i luoghi di cura di montagna si trovarono a dover ricuperare un forte ritardo rispetto alla concorrenza internazionale. Ormai fuori di moda i trattamenti termali e idropinici di lunga durata, ridotte quindi le ore di bagno a una o due ore mattino ed eventualmente alla sera, bisognava offrire agli ospiti più comfort e attività di passatempo.
Come ciò si sia manifestato nella San Bernardino di metà Ottocento si potrà evincere dalla relazione di Emma Negretti.
L’autrice, a conclusione del suo dire, propone l’interessante lettura di un estratto della relazione che il medico luganese Luigi Grossi inviò alla moglie da San Bernardino nel 1825, quindi pochi anni dopo l’apertura del nuovo stradale. Vi si può leggere in dettaglio la routine quotidiana del soggiorno nella nascente località di cura:
«Qui si conduce una vita quasi monastica, giacchè si sorge dal letto alle ore cinque del mattino, si va alla fonte a bere le acque, che si attingono nel luogo appunto ove più gorgogliando scaturiscono, ed ivi si sta, si va, e si viene fino verso le sette ore, alternando con brevi passeggi il bere di quelle. Verso le otto e mezzo ognuno si raduna nella gran sala della locanda per la colazione, che secondo il gusto delle persone è variata: poiché chi prende la cioccolata, chi il caffè, chi la zuppa, chi il té con pane unto di freschissimo burro, e più altre cose, onde piacevolissima riesce la vista di tante persone affaccendate a prepararsi da sè ciò che appetiscono. La conversazione ne viene in seguito; e chiacchierando or d’una cosa, ora d’una altra, si passano talvolta anche più ore senza avvedersene.
Quest’anno poi ci sono qui persone tali che farebbero passare anche tutta la giornata senza accorgersene, e pel buon umore e per la vivacità, e pel garbo e per la dottrina, e per molte altre belle qualità che le adornano. Nè solo ci sono uomini, ma ben anche donne di riguardo, degne d’ossequio ed interessanti.
Dopo la conversazione del mattino ognuno si ritira, passeggia leggendo, o divagandosi coi compagni sino al mezzogiorno, ora in cui il suono di una campanella chiama alla gran tavola pel pranzo. Noi siamo qui da circa quaranta commensali ogni giorno. Pel vitto a dir vero non si sta molto bene, perché l’oste, che non aspettavasi tanto concorso, consumò sulle prime il migliore delle provvigioni; ed ora ci è d’uopo cibarsi di carne di agnello, rare volte vitello, di magri polli, latticini, poche verdure, e scarsi pesci; si hanno però buoni frutti cotti, formaggio e anche dolci. Al pranzo succede come al solito la clamorosa conversazione; indi la ritirata pel riposo; poi il passeggio sino a sera, in cui di nuovo la campana invita a cenare con una minestra, un bollito, dei frutti cotti, oltre il dessert. Si chiacchera dopo la cena, indi si va al riposo; e così si dà fine alla giornata, per ricominciare l’altra collo stesso andamento.»